2006


Paolo Messina - Armonia delle Sfere - Maggio 2006 - Teatro Biondo

 

Uno dei fini del “Laboratorio di Poetica”, sin dal principio, era stato quello di riportare alla luce l’opera di Paolo Messina, considerato uno dei massimi drammaturghi del secondo novecento, vincitore per due anni consecutivi (1959-60) del premio “Saint Vincent” per il teatro. Chiesi perciò in Gennaio a Paolo Messina di scrivere per noi un dramma sul sacrificio di Giovanni Falcone. L’opera fu composta in tempo perché la potessimo mettere in scena nel maggio dello stesso anno.

L’armonia delle sfere  fu l’occasione perché fosse conferito, dall’Assessore alla Cultura della Provincia Regionale, il “Premio Città di Palermo” al suo autore. La sera del 23 maggio, in una gremitissima Sala Strehler del Teatro Biondo di Palermo, Tommaso Romano suggellò con la sua decisione il debito di riconoscenza di tutta l’isola nei confronti di un autore che avevo aperto la strada, prima de “Il giorno della civetta” di Leonardo Sciascia, con il suo dramma “Il muro di silenzio”, divenuto da allora un modo di dire, alla letteratura sull’argomento.

La rappresentazione, coinvolgente e partecipata, ebbe in Daniele Lupo un eccellente interprete del personaggio principale. Ma segnò anche la fine del gruppo che sino ad allora si era con difficoltà riconosciuto nel progetto e che a questa esperienza, come accade spesso quando si confonde testimonianza civile e teatro, progetto comune e interesse personale, non seppe reggere. Le contraddizioni apparvero in tutta la loro gravità nella spedizione a Casablanca, dalla quale feci ritorno ormai svuotato delle emozioni e delle speranze che avevo coltivato per i lunghi sei anni di lavoro comune. Dopo “Porte Chiuse” si erano chiuse le porte della comunicazione: pensai, seriamente, di chiudere per sempre l’esperienza del Laboratorio di Poetica. Dal lager di Casablanca (fummo ospitati un una sorte di prigione, una scuola per bambini bisognosi dove le gravi carenze igieniche e le fatiscenti camere con letti infissi al muro e armadietti scavati nella parete rendevano  non solo difficilissimo il soggiorno ma pericoloso per la nostra stessa incolumità) tornai stremato, disilluso, confuso: l’affetto, la dedizione, l’amore che avevo cercato di mettere in tutto il progetto erano stati dissipati in pochi giorni dalla  improvvisa superbia che un teatro  da settemila posti aveva infuso ad alcuni ragazzi che avevo portato con me. Il volo di ritorno, al contrario del volo di andata, rese evidente l’errore capitale di avere accettato di “fare teatro”, quanto di più lontano dalla spirito del Laboratorio di Poetica.     

 

 

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