Prologo
I due coreuti restano tra il pubblico senza musica prima ancora che entrino sulla scena gli altri interpreti
Primo Coreuta (Massimiliano)
Trascorrono i pensieri, come onde,
e l’anima si muta in bianco mare.
Negli abissi il segreto si nasconde
della vita. Ed è, per tutti, naufragare
destino inevitabile. Perdiamo
tutto nel tempo. Poi è tempo di andare
di là dall’orizzonte. Noi che siamo
quel che resta di un legno già bruciato,
che come foglie d’autunno volteggiamo,
a te chiediamo, amore: cosa è stato
questo fugace, rapido soggiorno
in questo mondo triste, desolato?
Secondo Coreuta (Filippo)
Il Bene è un arcipelago. Più niente
tra un’isola e l’altra. Il mare le divide
e pur li unisce. Vediamo l’indecente
Io della terra , che ogni anima provvide
della sua notte, vincere. E su, nei cieli,
il bianco cuore delle stelle uccide.
Ma che la luce no, non si riveli!
Dal Male sarà presto assassinata,
come i fiori recisi dagli steli.
Primo coreuta (Massimiliano)
L’amore è sempre una città assediata
che mai potrà evitare la conquista.
Del Sacrificio è lei terra beata
e quando tutto perde, tutto acquista.
Dei suoi figli compagna è solo morte,
ma del loro morire si rattrista
l’odio soltanto, il Male. Quando smorte
si fanno già le guance al difensore,
la notte allora si illumina e più corte
le tenebre si fanno. E un nuovo cuore
batte su questa terra che impaura,
e tutto tace quando tutto è Amore.
Secondo Coreuta (Filippo)
E l’ombra scese sulle tue pupille
quando nel sangue sciolse la sua ira
l’anima tenebrosa del tuo Achille.
Ma per Lei ancora l’anima respira,
per Andromaca che dalle alte mura
piange per te, per questa sorte dira
che oggi ti affida alla tua notte oscura.
Ti ricordi di Lei, delle parole
ultime? L’amavi, l’ami, lei pura,
e figlia e madre e sposa che si duole
del figlio, padre sposo già perduto.
mentre negli occhi ti si spense il sole.
entra in scena marco e cerca Andromaca. Scatta l’Ho perduta di Mozart
PRIMA SCENA
Primo narratore (Piero)
E lei gli andò incontro, e insieme a lei ora andava
e tra le braccia il bambino così piccolo e dolce,
l’amato figlio di Ettore simile a stella,
che egli chiamava Scamandrio e gli altri Astianatte
poi che Ettore solo Troia difendeva.
Così egli sorrise guardando il bambino
in silenzio, e Andromaca accanto gli venne
in silenzio piangendo, e forte la mano gli strinse.
Andromaca (daiana)
O infelice, il tuo ardire
muove il destino di morte.
Non senti pietà nel tuo cuore
del figlio bambino
e di me sventurata
che presto sarò privata
di ciò che mi devi?
Presto ti avranno gli Achei
che contro te muoveranno,
e se ti perdo è meglio per me
mille volte morire.
Quale conforto al dolore
se il tuo destino si compie?
Non ho più padre, non madre.
Achille lo uccise assediando
Tebe dalle alte porte:
ma ebbe vergogna a privarlo
delle sue armi e con esse bruciò
e la sua tomba le ninfe dei monti
ornarono di olmi bellissimi.
Sette fratelli avevo e in un solo giorno
scesero tutti nell’ade per mano di Achille.
E di mia madre tu sai. Prigioniera
fu liberata da lui dopo grande riscatto
per poi finire i suoi giorni
nella casa paterna
colpita dal dardo di Artemide.
Tu padre e nobile madre
fratello e sposo fiorente
per me, tu Ettore, sei.
Abbi di me pietà,
con me sulla torre rimani.
Fa che il figlio non sia
privato del padre ed io
non sia privata di ciò che mi devi.
Ettore
Tutto quello che dici in cuore sento
ma temo il giudizio dei Troíani
e delle loro donne lunghi pepli
se vile dalla lotta mi allontano.
È íl cuore a spingermi alla lotta
da che ho imparato a esser forte
sempre e tra i primi guerreggiare
al padre e a me stesso procurando
gloria grande. Poi che tutto so
secondo cuore e secondo ragione.
Verrà il giorno e verrà la morte
di Ilio sacra e di Priamo padre
e dei Troiani dalla bella lancia.
Ma dei Troiani del dolore ancora
di Ecuba e del re e dei fratelli
che sulla terra valorosi e molti
per mano nemica moriranno
io non ho cuore, ma del tuo destino
se mai un acheo tunica di bronzo
trascinerà il tuo corpo, mentre piangi,
privata d’ogni libera tua luce.
E giunta in Argo tesserai la tela
e l’acqua porterai su dalla fonte
Messeide o Iperea senza tua voglia
coperta dal destino pura forza.
E un giorno qualcuno potrà dire
le tue lacrime amare conoscendo:
"ecco, costei che piange, era la donna
di Ettore che era il primo nella lotta
fra i Troiani che domano i cavalli
quando si combatteva intorno a Ilio".
Forse queste parole un giorno udrai:
rinnovato dolore sentirai
non ci sarà un uomo che ti dia
libero il giorno e che non sii più schiava.
Morto, che io sia coperto dalla terra
prima che la tua voce disperata
senta, prima che io conosca
il giorno che vedrà la tua caduta.
La nutrice si avvicina e porge il bambino.Ettore lo prende tra le braccia
Secondo narratore (Emanuele)
Così dicendo Ettore glorioso
tese le sue mani al suo bambino.
Ma paura lo prese di suo padre
e del cimiero a chioma che ondeggiava
terribile dall’elmo, e delle armi,
e piangendo si volse alla nutrice
dalla bella cintura, e nel suo seno
trovò riparo alla sua paura.
Pieno d’amore rise allora il padre
e la nobile madre insieme a lui
e si spogliò subito dell’elmo
e lo pose per terra rilucente.
E poi che lo baciò teneramente
e in altò lo portò tra le sue mani
disse pregando Zeus e gli altri dèi:
Ettore
Zeus, e voi tutti altri dèi,
mio figlio concedete che diventi
come io sono, il primo fra i Troiani,
e che forte diventi e che potente
possa un giorno su Ilio regnare.
E che di lui ciascuno possa dire:
"È più grande del padre", quando torni
dalla guerra con spoglie di nemici
e ne gioisca il cuore di sua madre.
Primo narratore
Così disse e pose il suo bambino
tra le braccia alla sposa che egli amava.
Nel suo seno odoroso ella lo accolse
versando insieme lacrime e sorrisi.
Poi che la vide piangere il marito
ebbe di lei pietà e con la mano
dolce la accarezzò così dicendo:
Ettore
Donna infelice, non ti rattristare
contro il destino: nessun uomo mai
potrà precipitarmi giù nell’Ade
come al destino nessun uomo mai
che sia al bene o al male destinato
Ora, tornando a casa, le tue opere
cura del telaio e della rocca
e il lavoro comanda alle tue ancelle.
La cura della guerra lascia agli uomini
che sono nati a Ilio, e a me per primo.
Secondo narratore (Emanuele)
Così Ettore nobile le disse
l’elmo chiomato raccogliendo.
La moglie amata intanto verso casa
nuovamente diresse i1 suo cammino
e tante e tante lacrime versava
e indietro tante volte si volgeva.
E quando alla comoda casa
di Ettore massacratore
Andromaca giunse, le ancelle
tutte trovò, e tutte
si sciolsero in pianto.
Piangevano nella sua casa
Ettore che ancora viveva
poi che più non speravano
che dalle pianure sarebbe vivo tornato,
sfuggito al furore dei Danai.
ARIA DI VIVALDI
Aurora
Figlio adorato, vittima dell’odio,
sola lascerai ora tua madre nel dolore.
Muori perché tuo padre era il più forte
e la virtù che fu vita per altri
ora è morte per te.
Non ti soccorrerà il suo valore.
Luttuoso letto, nozze di dolore!
Ma tu, bambino, piangi,
e senti il male che su di te precipita.
Alla veste ti stringi, sotto le sue ali ti rifugi
simile a un uccellino.
Un volo orrendo ti ucciderà, riverso.
Per niente, allora, quando eri in fasce,
le tenere mammelle ti nutrirono?
Così grandi dolori, e le fatiche, tante,
per niente la madre ha sopportato?
Figlio adorato, la tua povera madre ora saluta
che non potrai altra volta salutarla.
Abbracciala, stringila al tuo collo, baciala sulla bocca!
0 barbari inventori di supplizi, perché questo innocentevoi uccidete? ..
Ma prendetelo ora, ora portatelo via
e dalla rocca giù precipitatelo,
se lo avete deciso. Fatelo a pezzi poi,
poi mangiate le sue carni.
E il corpo della madre nascondete,
gettatelo in una nave.
Verso nuove nozze la costringe
il destino,
privata di suo figlio
che era la sua anima.
Cassandra (virginia)
Tu madre perché in lacrime
sciogli il dolore e lacrimando parole hai del padre e della patria a noi cara?
Madre, il mio capo vittorioso cingi,
e di nozze regali sii felice.
Forte il mio cuore spingi, se vacilla. Nozze ancora più funeste di quelle con Elena il sire Agamennone attendono, se vera vita è nel Lossia. Io lui ucciderò, sarò io la rovina della sua casa, io sarò la vendetta dei fratelli e del padre.
Felice è questa città più degli Achei e se pure invade il dio il cuore folle dirò, fuori stringendo la follia.
A migliaia morirono gli Achei per una sola donna e un solo amore e quel sapiente e nobile stratega
la figlia che era il bene a lui più caro sacrificò per rendere al fratello una donna fuggita con ragione. Poi che giunsero in riva allo Scamandro
trovarono una morte senza scopo,
poi che non difendevano la patria
che sicura e lontana li aspettava.
Abbi pietà di loro. Chè I difensori
sono simili a dei, perchè la vita
consumano per amore e per amore
si fanno nulla, e per il mondo tutto.
Musica introduttiva Villa Lobos e vocalizzi
Prologo
Orfeo e Euridice
Prima Coreuta (Palmira)
Si levò alto di Euridice il grido
Orfeo moriva accanto a lei sull’erba.
Fuggiva via la vita al pastore fido:
tutto si muta in rimembranza acerba!
Muta la lira ormai, senza magia
-sole la notte il dio a te riserba-.
Si sciolse, in lei, il dolore in armonia,
l’anima uscì dal corpo senza vita
non tristi non , quasi sia
privata dell’amore, lei smarrita
prese la lira dalle freddi mani
la sua corda mutò. Dalle sue dita
fuggono in principio suoni vani,
poi come vento che nuvole raduna
tutto fu suono. Insieme a me rimani,
gridò Euridice. Ti amai come nessuna
donna ha mai amato il suo poeta;
non mi lasciare sola, come una
anima in pena che non ha più meta:
Orfeo non la sentì, precipitava
dove tutto è silenzio e tutto acquieta.
Granados che dura con interruzione tra il secondo e il terzo intervento per tutti e due i seguenti interventi
Seconda Coreuta (Fabiola)
E la lira di Orfeo, che lei suonava,
vinse colei che il varco custodiva
del Regno della Morte. Traversava
ora Acheronte, e niente intimoriva
la donna e la sua musica d’amore
fino a quando si venne all’altra riva.
Scosse le anime tutte dal torpore
il divino rincorrersi del canto:
quasi che l’alba nell’eterno orrore
della terra dove tutto è pena e pianto
si levasse! Lei lo cercò, ma invano.
Chiamò più volte Orfeo. e così tanto
ardore intenerì la mente del sovrano
di Ade nera e della sua bianca sposa
che disse, fermi gli occhi, piano piano:
-Concesso sia quel che nessuno osa
chiedere nel mio regno senza uscita!
Ci vinse l’armonia tua dolorosa
grazie al tuo amore Orfeo ritorni in vita!
Ma fino a quando sarai in questo regno
non ti voltare mai! sarà rapita
l’anima sua che ora diamo in pegno
se subito i suoi occhi guarderai
dubitando di noi! E’ questo il segno
ch’ora ti diamo. se guardi fallirai!-.
Sentì dietro di sé la sua presenza.
Pianse Euridice. Come sempre e mai!