Saggi


Foto Origine Orfica della Poesia

Origine Orfica della Poesia

Di Orfeo, nel mondo antico, si narrano due storie. La prima dice di un eroe agamos, solitario, che incanta na¬turalmente ogni essere col divino suono della lira: la sua mousike è sophia, armonica sapienza dell’origine. Questa sapienza è armonia di arte e natura, serena composizione del mito nel canto che è musica e non dice parola: l’eroe agamos, solitario, figura della melicità della poesia e del¬la relazione di armonia tra nome e figura, è senza avven¬tura. La seconda storia di cui si narra dice di una nascita antica, la nascita di Euridice, e di una avventura nuova che segna il nuovo destino della parola non piú melica ma poietica, e del nuovo poeta capace in questa nascita di creare discorsi contro gli dei. La catabasi in Ade è la nuova avventura, la variante del nuovo tempo del mito e dei nuovi destini del poeta; e di questa avventura sono pensati due esiti: il trionfo di Orfeo e Euridice resa, la caduta di Orfeo e Euridice ri-tolta, il destino di melicità della parola e il destino di poieticità della parola.
Di Orfeo si racconta ancora una doppia morte: l’eroe senza avventura muore per mano di Dioniso perché ha sprezzato l’umano, l’eroe nuovo in Euridice muore per
mano di Zeus perché ha sprezzato il divino; e all’eroe obbediente Euridice è resa alla luce, e all’eroe che non serve gli dei e che non serve agli dei Euridice è tolta come vendetta ultima della sua ribellione.
La nascita antica di Euridice divide Orfeo e divide i destini della parola, e in questa nascita è pensato lo sguardo di Orfeo, come principio di differenza tra la poe¬sia come melos e la poesia come poiesis, come momento differente i diversi esiti della catabasi di Orfeo. Un nuovo spirito nasce in Euridice, e questo spirito nuovo deter¬mina la nuova identità del poeta (Orfeo) e il rinnovato rapporto tra parola e nome, tra il poeta e gli dei, fino alla logopoieticità della nuova parola che viola il silenzio della notte ermetica e rivela l’illusione del nome: quel silenzio medesimo per la stabilità del nome, che i Greci imposero intorno allo sguardo e al secondo Orfeo, presto dimenticato perché preferito il Cantore, e falsamente ri¬sorto in Virgilio.
Amare intimità e necessarie vendette. -Tanto la mitologia ebraica quanto la mitologia classica recano in sé le tracce di un’antica paura. La torre di Babele ca¬duta in frantumi e Orfeo straziato, il profeta accecato affinché la vista cedesse all’intuito, Tamiri ucciso, Marsia scorticato, la sua voce che si muta nel grido di sangue nel vento - tutti questi esempi parlano di un senso più radicato e profondo della memoria storica, del miraco¬loso oltraggio del discorso umano... Il poeta crea nuovi dei e mantiene in vita gli uomini: cosí vivono Achille e Agamennone, la grande ombra di Ajace continua ad ar¬dere perché il poeta ha fatto del linguaggio un argine contro l’oblio... Omero, il maestro-costruttore e il ribelle contro il tempo, in cui la convinzione che la "parola alata" sopravviverà alla morte si esprime apertamente in un giubilo costante, diventa cieco. Orfeo è straziato in brandelli sanguinanti. E tuttavia la parola non vuole la¬sciarsi spegnere... una meraviglia, un miracolo ma anche uno scandalo e una sfida agli dei. Dalle porte della morte l’uomo riversa la viva corrente delle parole. E in qual modo noi possiamo leggere il tormento di Marsia, lo sfidante di Apollo, la favola crudele della lira contro il flauto che ossessiona il Rinascimento, se non come un ammonimento delle amare intimità e necessarie vendette tra Dio e il poeta? I poeti non sono, come vorrebbe la mitologia ufficiale, figli di Apollo, ma di Marsia. Nel suo grido di morte essi sentono il proprio nome ».1 Di questa paura antica, ogni mitologia conserva immutate figure: i poeti sono le figure della paura antica degli dei, paura della parola e del suo miracoloso oltraggio, paura della sfida per la libertà che ogni poeta del mito vive contro gli dei del mito che la sua potenza di parola ha determi¬nato.


Anno di Pubblicazione   Milano 1983
 

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