2012


Foto La Riconoscenza - Visioni dal Re Lear - Palazzo Steri

La Riconoscenza - Visioni dal Re Lear - Palazzo Steri

La riconoscenza

Visioni da Re Lear

 

 

Scena prima

 

 

Qui la voce sua soave. Mentre si svolge l’aria Regan e Goneril entrano dalle scale. Cordelia dal fondo. Si posizionano negli spazi determinati entra Re lear e si siede sul trono attendendo che finisca l’aria

 

Lear

In questo giorno sappiate che abbiamo deciso di deporre dalle nostre spalle stanche  il peso del potere, tutte le cure e le faccende di stato, e affidarle a forze più giovani, così che noi, liberati da tutto, possiamo serenamente cominciare il cammino verso la morte. Per ciò, figlie mie, giunti a questo giorno supremo,  voi future regine, dite al padre che cede tutto di sé: quanto mi amate? E quanto maggiore sarà l’amore, tanto più grande la nostra generosità. Parla tu Goneril, che sei nata per prima.

 

Goneril

Vi amo, mio signore, come nessuna parola umana mai potrà ridire;più della vista, dello spazio, della libertà; più di quanto è pensato ricco o raro, non meno della vita; che è pur grazia,e salute e bellezza e insieme onore; vi amo più di quanto mai un figlio amò suo padre, e come mai un padre fu dal figlio amato; di un amore che fa misero il fiato e inadeguata ogni parola. Ma di più ancora. Di là da tutto questo io vi amo.

 .

Lear

Di tutto ciò che questo confine contiene noi ti rendiamo signora. Di ombrose foreste e campagne fertili e di  fiumi tumultuosi e di praterie senza fine. Per te e  tuoi figli, discendenza di Albany. E tu Regan nostra  seconda figliola dolcissima sposa di Cornovaglia, a noi tanto cara, quanto mi ami?

 

Regan

Fatta della stessa materia di cui è fatta mia sorella, e me stimando dello stesso pregio,  con cuore aperto al vero riconosco che la sostanza del mio amore ha detto. Ma non del tutto credo: in più mi dico nemica di ogni altra gioia che non sia questa, sia anche la più dolce e raffinata.  Perfetta felicità trovo soltanto nel caro amore vostro.

 

 

 

Lear

Un terzo del mio regno e di valore eguale anche per te, mia Regan.Ma ora a te Cordelia,

ultima mia nata nel nostro cuore prima di ogni cosa. Parla tu dimmi, perché possa diventare della parte migliore del mio regno regina. Dimmi qualcosa!

 

Cordelia

Nulla

 

Lear

Nulla?

 

Cordelia

Nulla

 

 

Lear

Ma il nulla è nulla, è sterile. Niente dal nulla nasce Dimmi qualche cosa.

 

Cordelia

Il cuore non arriva, me infelice, dove hanno principio le parole. Dico soltanto questo che vi amo come è giusto che una figlia ami suo padre, non di più. non di meno

 

Lear

Misura le parole, tu, correggi un poco quel che hai detto.

Non danneggiare così la tua fortuna

 

Cordelia

E’ vostra la mia vita, voi mi avete cresciuta, mio signore, voi mi avete amata. Il mio dovere di figlia, lo conosco. In tutto vi obbedisco, il mio amore certo conoscete, sopra tutti vi onoro. Come possono tutto il loro amore riservare a voi, le mie sorelle? Non amano, forse, i loro sposi? Se accadrà che io trovi marito

non avrà egli il diritto  di possedere la metà del mio cuore, la metà d’ogni cura e del dovere? Come potrei sposarmi conservando per intero l’amore per mio padre?

 

Lear

Nelle tue parole c’è il tuo cuore?

 

Cordelia

Sì, mio signore

 

Lear

E la sincerità sia la tua dote!

In nome della luce, in nome della notte e degli inferi, io ti rifiuto.

Niente più avrai da me, più non riconosco i vincoli di sangue.

Sei da ora straniera a me e al mio cuore.

Né più ti accoglierò, non troverai

presso di me nessuna compassione,

se ti soccorrerò se tu hai bisogno

Lo eri un tempo, non sei più mia figlia.

Cinque giorni appena. Scompari alla mia vista.

Il sesto giorno tu sia fuori dal regno.

Ti ucciderò se nel decimo giorno

sarai  ancora entro i confini del mio regno.

Quel che io ho detto, ho detto!

 

 

Scena seconda

 

Matto

Voglio insegnarti una bella filastrocca, zietto:

“Abbi più di quel che mostri

parla men di quel che sai,

presta men di quanto hai,

và un po’ men di quanto giostri,

più di quel che credi, apprendi,

punta men di quel che vinci,

smetti il vino e smetti quinci

la baldracca; e in casa attendi.

E otterrai la giunta fina

di due dieci e una ventina.”

 

Lear

Matto amaro.

 

Matto

E sai dir la differenza, ragazzo mio,

 tra un Matto amaro e uno dolce?

“Quel signore che ti dié

il consiglio di dar via

le tue terre, per follia

venga a far coppia con me:

è la parte adatta a te.

Ecco allor due matti a paro:

matto dolce e matto amaro:

uno, in veste di buffone, è qui,

l’altro...eccolo lì.”

 

Lear

tu mi dài del matto?

 

Matto

Tutti gli altri tuoi titoli li hai ceduti: ma con quello ci sei nato.

Zio mio, dammi un uovo, e io ti darò in cambio due corone.

 

Lear

E che saranno mai queste due corone?

 

Matto

Dopo ch’io abbia tagliato l’uovo nel mezzo,

e abbia mangiato il tuorlo,

le due metà del guscio saranno due corone.

Allora tu spezzasti la tua corona nel bel mezzo e ne cedesti le due parti,

C’era rimasto bene poco cervello

dentro quella corona tua pelata

 

Lear

Da quando in qua, brigante,

hai preso a fare il sapiente?

 

Matto

Da quando tu hai fatto delle tue figlie

le tue mamme, zietto; perchè allora,

appena hai messo nelle loro mani

lo scudiscio, calandoti le braghe,

(cantando)

“piansero quelle d’improvvisa gioia,

e io presi a cantare per strambotti

la pena di vedere un tal sovrano

giocano a nascondino

per ridursi a finir matto tra i matti.”

   

Goneril  entra

 

Lear

Ebbene figlia mia,

perchè quella tua fronte accigliata?

 

Goneril

Sire, non solo questo vostro Matto,

al quale tutto è lecito, mi pare,

ma altri del volgare vostro seguito

trovano ogni momento da ridire

e creare motivi di litigio.

E s’abbandonano continuamente

a intollerabili ed indegne risse.

In coscienza credevo, mio signore,

che col farvi di ciò bene informato,

avrei trovato in voi soddisfazione;

ma mi viene il timore,

per quel che avete testé fatto e detto

che proteggiate un tal comportamento,

o che lo incoraggiate addirittura.

Io non tollero più, né voi né loro.

Voi non siete nessuno in questa casa.

Andate quanto più presto dall’altra mia sorella

Perché sono stanca già della vostra presenza.

E tutti questi cavalieri a che vi servono?

Non voglio più da oggi, mantenerli.

Cercate un’altra casa, un’altra vita.

Siete vecchio, non siete più nessuno.

Andate via e non mi tormentate

Con questi inesauribili capricci.

La vostra scorta, considerate che è metà

Di quello che un tempo avete chiesto.

E ora via, lontano, e più non voglio

Vedervi girare in casa mia

 

Lear

Chi sei tu che mi parli in questo modo?

Non puoi essere no! Non sei mia figlia.

Che tu sia maledetta. E tu, Natura, venerata dea,

ascolta! S’era nelle tue intenzioni

di rendere feconda questa donna,

revoca il tuo proposito,

mettile in grembo la sterilità,

se proprio hai deciso

ch’ella comunque debba partorire,

fa ch’ella generi un figlio di fiele,

che cresca sì perverso e snaturato

da viver sol per esserle tormento,

le scavi rughe sulla fronte giovane

e solchi in faccia per le troppe lacrime;

che volga tutte a scherno e a disprezzo

le sue pene e le sue gioie di madre,

sì che anch’ella conosca qual dolore

tagliente, più del morso d’un serpente,

sia un ingrato figlio... Andiamo, andiamo!

Ho ancora un’altra figlia

 

Entra Regan

 

 

Regan

Non posso credere che mia sorella

abbia potuto pur minimamente

venir meno ai suoi obblighi di figlia.

Se ha cercato, signore, di frenare

gli eccessi della gente al vostro seguito,

e sue ragioni saranno state tali

e tanto giuste da renderla indenne

da qualsiasi biasimo per questo.

Siete vecchio, signore.

La natura è in voi al suo confine.

Dovete ormai lasciarvi governare

e guidare da alcuno che sia in grado

di discerner la vostra condizione

meglio che non possiate farlo voi.

Restate da mia sorella, accettate

Tutto quello che essa vi propone

Se tornerete a star con mia sorella

fino alla fine del mese fissato,

congedando metà del vostro seguito,

poi verrete da me.

Per il momento son lungi da casa,

e sprovvista dei mezzi necessari

a provvedere alla vostra assistenza.

 

 

Lear

Ritornare con lei,

e congedar cinquanta dei miei uomini?

io son paziente,posso star con te,

con i miei bravi cento cavalieri.

 

 

Regan

Sentite, mio signore: o venticinque,

o dieci, o cinque come vostro seguito,

che bisogno ne avete, in una casa

in cui due volte tanti servitori

hanno l’ordine di accudire a voi?

Che bisogno avete  anche si uno?

 

Lear

Dèi, mi vedete qui, povero vecchio,

carico di dolori come d’anni,

reso infelice dagli uni e dagli altri:

se siete voi ad aizzare i cuori

di queste figlie contro il loro padre

streghe snaturate!

Farò su entrambe voi tali vendette,

che il mondo intero… farò tali cose…

ancora non so quali…

ma tali che ne tremerà la terra.

Voi v’aspettate di vedermi piangere.

Non piango, se pur n’abbia ben ragione;

ma questo cuore si frantumerà,

prima ch’io pianga, in centomila schegge.

O Matto, finirò con l’impazzire!

 

 

Regan

Si prepara, sorella, una tempesta terribile

Che vada via, che il vento lo trascini

E  i fulmini sedano il suo cuore.

Peggio per lui; si è messo contro noi,

si gusti i frutti della sua follia.

 

 

 

Scena terza

 

Lear

Soffiate, venti, fino a farvi lacerar le guance

cateratte del cielo ed uragani,

rovesciatevi a fiumi sulla terra,

E tu, o tuono, che tutto scuoti e scrolli,

percuoti la rotondità del mondo

fino a schiacciarla tutta, fino in fondo,

stritola le matrici di natura,

spargi e disperdi in aria

tutti i germi che generano l’uomo,

mostro d’ingratitudine!

 

Matto

Zietto , anche l’ipocrita acquasanta

della corte, fra quattro mura asciutte

è meglio di quest’altra acqua di pioggia

così all’aperto torna a casa, zio,

fatti ribenedir dalle tue figlie;

questa è una notte che non ha pietà

per nessuno, per matti né per savii.

 

Lear

La mia mente prende a vacillare. Vieni, fanciullo mio, ha freddo?

Anch’io ho freddo

 

(Esce Edgar, scarmigliato, vestito da pazzo, avvolto in una coperta)

 

Tom

Scappate!

Il lurido demonio mi tien dietro.

Il vento gelido soffia tra i rovi del biancospino... Hum!

Vai riscaldati nel tuo letto.

 

Lear

Hai forse dato tutte le tue figlie che ti sei ridotto a questo?

 

Tom

Chi fa l’elemosina al povero Tom?

 

Lear

Chi eri tu?

 

Tom

Un servo, superbo d’animo e di mente

m’acconciavo i capelli, sfoggiavo i doni delle donne,

mi prestano alla lussuria della padrona,

compivo con lei l’atto che si compie al buio,

facevo giuramenti ad ogni parola che dicevo

e le infrangevo davanti il dolce viso del cielo

m’addormentavo pensando a atti di lascivia

e mi svegliavo per farli

amavo molto il vinoadoravo i dadi

in fatto di donne avevo più amanti di un turco.

Falso di cuore svelto d’orecchio sanguinario

maiale nel sonnolupo per velocitàcane nella rabbia

leone con la preda

non lasciare che uno scricchiolio di scarpe

un fruscio di seta

consegnino il tuo povero cuore ad una donna e ti facciano sfidare il diavolo. Attraverso i brumi del biancospino soffia ancora il vento gelido.

 

Matto

Te ne prego, zio mio, vedi di startene un po’ tranquillo.

È una notte troppo crudele per mettercisi a nuotare.

 

Lear

Su, sbottonami qui.

 

Tom

Zio, per amor del cielo, statti quieto.

Non è una notte da nuotarci dentro,

per traversarla. Un focherello acceso

adesso, in questa radura selvaggia,

sarebbe come il cuore dentro il petto

d’un vecchio libertino: una favilla

in corpo gelato.Questo è il sozzo demonio Flibberdìgibet.Comincia a circolare al coprifuoco

e va in giro fino al cantar del gallo.

Fa venire alla gente gli occhi strabici,

le cateratte, il labbro leporino,

infetta il grano bianco con la golpe,

e va continuamente infastidendo

le povere creature della terra.

“Tre volte San Vittoldo

percorse la brughiera,

finchè non incontrò

con le nove compagne la Versiera.

Le ordinò di smontare,poi la fece giurare.”

Chi è là? Indietro strega, vattene!

Il principe delle tenebre è un gentiluomo

si chiama Modo e Mahu.

Povero Tom, ho freddo

 

Sarà fatto. Ed io le cito subito in giudizio. (A Tom)

Mettiti a sedere qui dottissimo giudice.

(Al Matto) E tu siedi in quest’altro posto, sapiente signore.

E adesso a voi, volpacce...

(A Tom)

Tu giudice togato, prendi posto.

(Al Matto)

e tu giudice a latere, al suo fianco,

su quella panca.

Prima si faccia il processo a lei: è Goneril.

Io qui presto giuramento,

dinanzi a questa onorevole assemblea,

ch’essa ha preso a calci il povero re, suo padre.

 

Matto

Vieni qui padrona, ti chiami Goneril?

 

Lear

Non puoi negarlo.

È questa è l’altra: il suo sguardo feroce

dice di che stoffa è fatto il suo cuore.

Fermatela! Armi, armi, spade, fuoco!

Ah, corruzione! Giudice fellone,

perchè hai lasciato che fuggisse via?

 

matto

Ed ora, mio signore, stendetevi qui,

e riposate un poco.

 

Lear

E non fate rumore, non fate rumore.

Tirate le tende, così, così, a poco a poco.

Andremo a cena domattina.

 

Coro


Una strada dimenticata è la follia,

veleno d’ogni veleno è il disamore.

D’ire funeste il mondo si alimenta

Se ci chiediamo quanto, cosa è amore.

 

Perché non torni vecchio, a lei che piange?

Perchè ti chiedi ancora cosa sia

Quel silenzio che l’anima rimpiange

Pieno di verità, di cortesia?

 

Ora viene Cordelia,  e lei non teme

Di morire per te, per sempre padre.

Viene come signora degli eserciti

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