La riconoscenza
Visioni da Re Lear
Scena prima
Qui la voce sua soave. Mentre si svolge l’aria Regan e Goneril entrano dalle scale. Cordelia dal fondo. Si posizionano negli spazi determinati entra Re lear e si siede sul trono attendendo che finisca l’aria
Lear
In questo giorno sappiate che abbiamo deciso di deporre dalle nostre spalle stanche il peso del potere, tutte le cure e le faccende di stato, e affidarle a forze più giovani, così che noi, liberati da tutto, possiamo serenamente cominciare il cammino verso la morte. Per ciò, figlie mie, giunti a questo giorno supremo, voi future regine, dite al padre che cede tutto di sé: quanto mi amate? E quanto maggiore sarà l’amore, tanto più grande la nostra generosità. Parla tu Goneril, che sei nata per prima.
Goneril
Vi amo, mio signore, come nessuna parola umana mai potrà ridire;più della vista, dello spazio, della libertà; più di quanto è pensato ricco o raro, non meno della vita; che è pur grazia,e salute e bellezza e insieme onore; vi amo più di quanto mai un figlio amò suo padre, e come mai un padre fu dal figlio amato; di un amore che fa misero il fiato e inadeguata ogni parola. Ma di più ancora. Di là da tutto questo io vi amo.
.
Lear
Di tutto ciò che questo confine contiene noi ti rendiamo signora. Di ombrose foreste e campagne fertili e di fiumi tumultuosi e di praterie senza fine. Per te e tuoi figli, discendenza di Albany. E tu Regan nostra seconda figliola dolcissima sposa di Cornovaglia, a noi tanto cara, quanto mi ami?
Regan
Fatta della stessa materia di cui è fatta mia sorella, e me stimando dello stesso pregio, con cuore aperto al vero riconosco che la sostanza del mio amore ha detto. Ma non del tutto credo: in più mi dico nemica di ogni altra gioia che non sia questa, sia anche la più dolce e raffinata. Perfetta felicità trovo soltanto nel caro amore vostro.
Lear
Un terzo del mio regno e di valore eguale anche per te, mia Regan.Ma ora a te Cordelia,
ultima mia nata nel nostro cuore prima di ogni cosa. Parla tu dimmi, perché possa diventare della parte migliore del mio regno regina. Dimmi qualcosa!
Cordelia
Nulla
Lear
Nulla?
Cordelia
Nulla
Lear
Ma il nulla è nulla, è sterile. Niente dal nulla nasce Dimmi qualche cosa.
Cordelia
Il cuore non arriva, me infelice, dove hanno principio le parole. Dico soltanto questo che vi amo come è giusto che una figlia ami suo padre, non di più. non di meno
Lear
Misura le parole, tu, correggi un poco quel che hai detto.
Non danneggiare così la tua fortuna
Cordelia
E’ vostra la mia vita, voi mi avete cresciuta, mio signore, voi mi avete amata. Il mio dovere di figlia, lo conosco. In tutto vi obbedisco, il mio amore certo conoscete, sopra tutti vi onoro. Come possono tutto il loro amore riservare a voi, le mie sorelle? Non amano, forse, i loro sposi? Se accadrà che io trovi marito
non avrà egli il diritto di possedere la metà del mio cuore, la metà d’ogni cura e del dovere? Come potrei sposarmi conservando per intero l’amore per mio padre?
Lear
Nelle tue parole c’è il tuo cuore?
Cordelia
Sì, mio signore
Lear
E la sincerità sia la tua dote!
In nome della luce, in nome della notte e degli inferi, io ti rifiuto.
Niente più avrai da me, più non riconosco i vincoli di sangue.
Sei da ora straniera a me e al mio cuore.
Né più ti accoglierò, non troverai
presso di me nessuna compassione,
se ti soccorrerò se tu hai bisogno
Lo eri un tempo, non sei più mia figlia.
Cinque giorni appena. Scompari alla mia vista.
Il sesto giorno tu sia fuori dal regno.
Ti ucciderò se nel decimo giorno
sarai ancora entro i confini del mio regno.
Quel che io ho detto, ho detto!
Scena seconda
Matto
Voglio insegnarti una bella filastrocca, zietto:
“Abbi più di quel che mostri
parla men di quel che sai,
presta men di quanto hai,
và un po’ men di quanto giostri,
più di quel che credi, apprendi,
punta men di quel che vinci,
smetti il vino e smetti quinci
la baldracca; e in casa attendi.
E otterrai la giunta fina
di due dieci e una ventina.”
Lear
Matto amaro.
Matto
E sai dir la differenza, ragazzo mio,
tra un Matto amaro e uno dolce?
“Quel signore che ti dié
il consiglio di dar via
le tue terre, per follia
venga a far coppia con me:
è la parte adatta a te.
Ecco allor due matti a paro:
matto dolce e matto amaro:
uno, in veste di buffone, è qui,
l’altro...eccolo lì.”
Lear
tu mi dài del matto?
Matto
Tutti gli altri tuoi titoli li hai ceduti: ma con quello ci sei nato.
Zio mio, dammi un uovo, e io ti darò in cambio due corone.
Lear
E che saranno mai queste due corone?
Matto
Dopo ch’io abbia tagliato l’uovo nel mezzo,
e abbia mangiato il tuorlo,
le due metà del guscio saranno due corone.
Allora tu spezzasti la tua corona nel bel mezzo e ne cedesti le due parti,
C’era rimasto bene poco cervello
dentro quella corona tua pelata
Lear
Da quando in qua, brigante,
hai preso a fare il sapiente?
Matto
Da quando tu hai fatto delle tue figlie
le tue mamme, zietto; perchè allora,
appena hai messo nelle loro mani
lo scudiscio, calandoti le braghe,
(cantando)
“piansero quelle d’improvvisa gioia,
e io presi a cantare per strambotti
la pena di vedere un tal sovrano
giocano a nascondino
per ridursi a finir matto tra i matti.”
Goneril entra
Lear
Ebbene figlia mia,
perchè quella tua fronte accigliata?
Goneril
Sire, non solo questo vostro Matto,
al quale tutto è lecito, mi pare,
ma altri del volgare vostro seguito
trovano ogni momento da ridire
e creare motivi di litigio.
E s’abbandonano continuamente
a intollerabili ed indegne risse.
In coscienza credevo, mio signore,
che col farvi di ciò bene informato,
avrei trovato in voi soddisfazione;
ma mi viene il timore,
per quel che avete testé fatto e detto
che proteggiate un tal comportamento,
o che lo incoraggiate addirittura.
Io non tollero più, né voi né loro.
Voi non siete nessuno in questa casa.
Andate quanto più presto dall’altra mia sorella
Perché sono stanca già della vostra presenza.
E tutti questi cavalieri a che vi servono?
Non voglio più da oggi, mantenerli.
Cercate un’altra casa, un’altra vita.
Siete vecchio, non siete più nessuno.
Andate via e non mi tormentate
Con questi inesauribili capricci.
La vostra scorta, considerate che è metà
Di quello che un tempo avete chiesto.
E ora via, lontano, e più non voglio
Vedervi girare in casa mia
Lear
Chi sei tu che mi parli in questo modo?
Non puoi essere no! Non sei mia figlia.
Che tu sia maledetta. E tu, Natura, venerata dea,
ascolta! S’era nelle tue intenzioni
di rendere feconda questa donna,
revoca il tuo proposito,
mettile in grembo la sterilità,
se proprio hai deciso
ch’ella comunque debba partorire,
fa ch’ella generi un figlio di fiele,
che cresca sì perverso e snaturato
da viver sol per esserle tormento,
le scavi rughe sulla fronte giovane
e solchi in faccia per le troppe lacrime;
che volga tutte a scherno e a disprezzo
le sue pene e le sue gioie di madre,
sì che anch’ella conosca qual dolore
tagliente, più del morso d’un serpente,
sia un ingrato figlio... Andiamo, andiamo!
Ho ancora un’altra figlia
Entra Regan
Regan
Non posso credere che mia sorella
abbia potuto pur minimamente
venir meno ai suoi obblighi di figlia.
Se ha cercato, signore, di frenare
gli eccessi della gente al vostro seguito,
e sue ragioni saranno state tali
e tanto giuste da renderla indenne
da qualsiasi biasimo per questo.
Siete vecchio, signore.
La natura è in voi al suo confine.
Dovete ormai lasciarvi governare
e guidare da alcuno che sia in grado
di discerner la vostra condizione
meglio che non possiate farlo voi.
Restate da mia sorella, accettate
Tutto quello che essa vi propone
Se tornerete a star con mia sorella
fino alla fine del mese fissato,
congedando metà del vostro seguito,
poi verrete da me.
Per il momento son lungi da casa,
e sprovvista dei mezzi necessari
a provvedere alla vostra assistenza.
Lear
Ritornare con lei,
e congedar cinquanta dei miei uomini?
io son paziente,posso star con te,
con i miei bravi cento cavalieri.
Regan
Sentite, mio signore: o venticinque,
o dieci, o cinque come vostro seguito,
che bisogno ne avete, in una casa
in cui due volte tanti servitori
hanno l’ordine di accudire a voi?
Che bisogno avete anche si uno?
Lear
Dèi, mi vedete qui, povero vecchio,
carico di dolori come d’anni,
reso infelice dagli uni e dagli altri:
se siete voi ad aizzare i cuori
di queste figlie contro il loro padre
streghe snaturate!
Farò su entrambe voi tali vendette,
che il mondo intero… farò tali cose…
ancora non so quali…
ma tali che ne tremerà la terra.
Voi v’aspettate di vedermi piangere.
Non piango, se pur n’abbia ben ragione;
ma questo cuore si frantumerà,
prima ch’io pianga, in centomila schegge.
O Matto, finirò con l’impazzire!
Regan
Si prepara, sorella, una tempesta terribile
Che vada via, che il vento lo trascini
E i fulmini sedano il suo cuore.
Peggio per lui; si è messo contro noi,
si gusti i frutti della sua follia.
Scena terza
Lear
Soffiate, venti, fino a farvi lacerar le guance
cateratte del cielo ed uragani,
rovesciatevi a fiumi sulla terra,
E tu, o tuono, che tutto scuoti e scrolli,
percuoti la rotondità del mondo
fino a schiacciarla tutta, fino in fondo,
stritola le matrici di natura,
spargi e disperdi in aria
tutti i germi che generano l’uomo,
mostro d’ingratitudine!
Matto
Zietto , anche l’ipocrita acquasanta
della corte, fra quattro mura asciutte
è meglio di quest’altra acqua di pioggia
così all’aperto torna a casa, zio,
fatti ribenedir dalle tue figlie;
questa è una notte che non ha pietà
per nessuno, per matti né per savii.
Lear
La mia mente prende a vacillare. Vieni, fanciullo mio, ha freddo?
Anch’io ho freddo
(Esce Edgar, scarmigliato, vestito da pazzo, avvolto in una coperta)
Tom
Scappate!
Il lurido demonio mi tien dietro.
Il vento gelido soffia tra i rovi del biancospino... Hum!
Vai riscaldati nel tuo letto.
Lear
Hai forse dato tutte le tue figlie che ti sei ridotto a questo?
Tom
Chi fa l’elemosina al povero Tom?
Lear
Chi eri tu?
Tom
Un servo, superbo d’animo e di mente
m’acconciavo i capelli, sfoggiavo i doni delle donne,
mi prestano alla lussuria della padrona,
compivo con lei l’atto che si compie al buio,
facevo giuramenti ad ogni parola che dicevo
e le infrangevo davanti il dolce viso del cielo
m’addormentavo pensando a atti di lascivia
e mi svegliavo per farli
amavo molto il vinoadoravo i dadi
in fatto di donne avevo più amanti di un turco.
Falso di cuore svelto d’orecchio sanguinario
maiale nel sonnolupo per velocitàcane nella rabbia
leone con la preda
non lasciare che uno scricchiolio di scarpe
un fruscio di seta
consegnino il tuo povero cuore ad una donna e ti facciano sfidare il diavolo. Attraverso i brumi del biancospino soffia ancora il vento gelido.
Matto
Te ne prego, zio mio, vedi di startene un po’ tranquillo.
È una notte troppo crudele per mettercisi a nuotare.
Lear
Su, sbottonami qui.
Tom
Zio, per amor del cielo, statti quieto.
Non è una notte da nuotarci dentro,
per traversarla. Un focherello acceso
adesso, in questa radura selvaggia,
sarebbe come il cuore dentro il petto
d’un vecchio libertino: una favilla
in corpo gelato.Questo è il sozzo demonio Flibberdìgibet.Comincia a circolare al coprifuoco
e va in giro fino al cantar del gallo.
Fa venire alla gente gli occhi strabici,
le cateratte, il labbro leporino,
infetta il grano bianco con la golpe,
e va continuamente infastidendo
le povere creature della terra.
“Tre volte San Vittoldo
percorse la brughiera,
finchè non incontrò
con le nove compagne
Le ordinò di smontare,poi la fece giurare.”
Chi è là? Indietro strega, vattene!
Il principe delle tenebre è un gentiluomo
si chiama Modo e Mahu.
Povero Tom, ho freddo
Sarà fatto. Ed io le cito subito in giudizio. (A Tom)
Mettiti a sedere qui dottissimo giudice.
(Al Matto) E tu siedi in quest’altro posto, sapiente signore.
E adesso a voi, volpacce...
(A Tom)
Tu giudice togato, prendi posto.
(Al Matto)
e tu giudice a latere, al suo fianco,
su quella panca.
Prima si faccia il processo a lei: è Goneril.
Io qui presto giuramento,
dinanzi a questa onorevole assemblea,
ch’essa ha preso a calci il povero re, suo padre.
Matto
Vieni qui padrona, ti chiami Goneril?
Lear
Non puoi negarlo.
È questa è l’altra: il suo sguardo feroce
dice di che stoffa è fatto il suo cuore.
Fermatela! Armi, armi, spade, fuoco!
Ah, corruzione! Giudice fellone,
perchè hai lasciato che fuggisse via?
matto
Ed ora, mio signore, stendetevi qui,
e riposate un poco.
Lear
E non fate rumore, non fate rumore.
Tirate le tende, così, così, a poco a poco.
Andremo a cena domattina.
Coro
Una strada dimenticata è la follia,
veleno d’ogni veleno è il disamore.
D’ire funeste il mondo si alimenta
Se ci chiediamo quanto, cosa è amore.
Perché non torni vecchio, a lei che piange?
Perchè ti chiedi ancora cosa sia
Quel silenzio che l’anima rimpiange
Pieno di verità, di cortesia?
Ora viene Cordelia, e lei non teme
Di morire per te, per sempre padre.
Viene come signora degli eserciti