I primi mesi del 2009 segnano il punto di svolta della mia vita. Dopo l’indicibile vissuto alcuni mesi prima nel santuario di Sant’Antonio da Padova, dove ho sperimentato sulla mia pelle che cosa significhi illuminazione mistica, comincia a scriversi da sé “L’Opera”, il poema in settantasette canti e in tre movimenti (Il Figlio, il Messia, il Redentore) sulla nascita, sulla vita e sulla morte e resurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo. L’Opera pretende ogni spazio della giornata e della notte per compiersi, per un intero anno e i primi tre mesi del 2010. Un nuovo amore assoluto la genera e ne condiziona il farsi, in riva al mare nelle terrazze del grande albergo La Torre sul golfo di Mondello, osservando ogni mattina il respiro delle onde e comprendendo il linguaggio segreto del loro mutamento. Lì prendono forma i canti, si snoda la vita di Gesù e dei personaggi del Vangelo di Giovanni, si compie il miracolo dell’Opera della vita.
Che il testo in corso di scrittura potesse essere usato per una nuova rappresentazione del Laboratorio di Poetica, non era nel 2009 nell’ordine delle cose fattibili. Ma come accade, e accade sempre casualmente, furono eventi esterni a decidere il contenuto della testimonianza dell’anno 2009. Roberto Lagalla, da poco eletto Rettore dell’Università di Palermo, mi chiede se ce la sentiamo di inaugurare, con una rappresentazione, il nuovo anno accademico; anche per il testo chiede che abbia come argomento un evento decisivo della tradizione filosofica e letteraria occidentale. Scelsi il Fedone, perché nessun libro è più bello di questo e nessuna storia più pietosa: il libro che inventa l’immortalità dell’anima, l’idea salvifica del sacrificio in nome della Verità. Il testo che ricavai dal Fedone ebbe come titolo Il Sacrificio.
Un altro evento, anch’esso casuale, decise del luogo della rappresentazione. In occasione di un convegno sul tema del suicidio in carcere, la straordinaria e illuminata direttrice del carcere “Pagliarelli” di Palermo mi chiese di mettere in scena qualcosa per i detenuti. Con commozione i miei studenti di quell’anno offrirono a quel pubblico così nuovo in una cornice così strana la rappresentazione de “La sposa del Vento”, una mia Annunciazione in versi pubblicata in quei mesi dall’editore Sciascia di Caltanissetta. L’impatto emotivo fu enorme, così come la tensione di tutti i presenti. Fu allora che decisi il luogo in cui avremmo rappresentato “Il Sacrificio”. Nelle celle dell’Inquisizione di Palazzo Steri, sede del Rettorato. In una cella sarebbe stata ripetuta la morte di Socrate, così come in una cella si era conclusa ad Atene la sua vita. Giovanni Pepi, direttore del “Giornale di Sicilia”, dopo avere appreso della originalità della rappresentazione, dedicò ampio spazio alla iniziativa. La sera del 23 maggio, afosissima, vide centinaia di persone riversarsi nei lunghi corridoi del palazzo della Inquisizione e assistere a quella che fu davvero una sacra rappresentazione. Pietro Camarda, il giovane Socrate morente nella cella divisa dal pubblico da un grande drappo rosso, quando il drappo cadde divenne realmente Socrate. Gli spettatori, condotti per mano all’interno della cella, assistettero davvero al Sacrificio, nel compianto e nella partecipazione. Anna Falcone, sorella del giudice assassinato, la vidi profondamente scossa, così come i tanti magistrati presenti quella sera. Quella sera comprendemmo tutti che il teatro è la scena stessa dell’anima che il tempo fa sempre nuova ma insieme eternamente identica a se stessa.